GIVI Magazine - Novembre 2010 - ITA
6 amata Hollywood sempre e solo in sella ad una moto o ad uno scooter. Perchè Gunner non è soltanto un appassionato ma è anche un affermato attore che ad ogni contratto deve dribblare le clausole che lo vorrebbero ingabbiato in una infinitamente più sicura e tranquilla automobile per muoversi in città. Gunner, innanzi tutto come hai conosciuto il marchio Givi? “Sono stato a Milano per le riprese di uno spot pubblicitario, ed essendo da sempre un appassionato di moto sono rimasto sconvolto dal numero di mezzi a due ruote che girano da tutte le parti. E subito dopo ho notato il marchio su questi bauletti montati praticamente su ogni moto o scooter in circolazione...”. Oltre alle moto cosa ti ha colpito dell’Italia? “Ovviamente la storia, i palazzi, i monumenti... Ma se devo es- sere sincero non credevo esistesse una nazione così appas- sionata di moto. Ricordo che una mattina presto, rientrando in albergo dopo aver fatto jogging a parco Sempione, non trovai nessuno alla reception e nella sala ristorante. Volevo far colazio- ne ma il posto era deserto. Allora mi infilai in cucina e trovai tutto il personale attaccato ad una TV minuscola che guardava il GP d’Australia, all’alba!”. Quindi la moto ce l’hai davvero dentro... “Si, se sono arrivato a Hollywood è grazie alle moto. Non sono uno di quelli che la moto se l’è comprata perchè adesso fa ten- denza. Fin da piccolo ho seguito mio padre sulle piste di moto- cross in Florida, dove sono nato. Poi che cosa successe? “Poi mio padre, che era un rappresentate Honda, venne assun- to dalla sede centrale in California e tutta la famiglia si spostò a Los Angeles, nella Orange County. Era la fine degli Anni Ottanta e il motocross e il Supercross stavano veramente esplodendo, e forse per la concorrenza più agguerrita o il cambio di ambiente, mi ritrovai ad essere tra i più veloci nella mia categoria. In pratica mi scattò qualcosa dentro. Con la maggior velocità arrivarono però anche infortuni che mi portarono a chiedermi se era vera- mente quello che volevo davvero fare nella vita. La risposta fu no, e in questo mio padre mi aiutò molto perchè mi fece capire che un semplice infortunio di troppo avrebbe potuto lasciarmi senza alternative, se non magari lavorare come meccanico. Decisi di finire gli studi e di cercare un lavoro vero, magari sem- pre con le moto. L’occasione arrivò quando venni a sapere che alla Honda stavano creando un nuovo reparto sportivo che si sarebbe occupato della stampa. Ricordo che uno degli aspetti chiave del colloquio fu un’ intervista video simulata, con il filma- to di una gara che scorreva su una grossa TV davanti a me: era fondamentale restare calmi e dimostrare di poter comunicare con argomentazioni convincenti una rottura meccanica o un brutto risultato davanti a decine di microfoni. Beh, io mi trovai subito a mio agio ed ottenni il posto”. Oltre a rivelare il tuo talento di attore... “In un certo senso si. Mi accorsi subito che mi piaceva interagi- re con i fans dei piloti e in un certo senso vivere sotto ai riflettori, pur lavorando 18 o 20 ore al giorno”. Ma come sei passato da P.R. ad attore e soprattutto cosa c’entrano le moto? “Ci sto arrivando... Nel periodo in cui fui a capo dell’ufficio stampa Honda (fine anni Novanta) il Supercross ebbe la sua consacrazione definitva e il nostro pilota Ezra Lusk, fu l’unico ad impensierire seriamente McGrath per il titolo. Con quattro gare all’anno tra Anaheim e San Diego avevo sempre l’ho- spitality piena di attori e gente che lavorava nell’ambiente di Hollywood. Molti erano stuntman e grazie ad uno di essi ottenni il mio primo lavoro in TV, una parte nel telefilm Fast Lane sul network FOX. Da li fu una successione di eventi”. E quindi hai lasciato un lavoro sicuro in Honda per lan- ciarti nella tua carriera di artista? “Lo stipendio era buono ma la curiosità di mettermi alla prova davanti alla cinepresa era fortissima e alla fine ho mollato”. Rimpianti? “Nessuno. All’inizio è stata dura. Poi ho trovato un agente molto bravo e le “parti” sono iniziate a fioccare, sia in teatro che per
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